Da Tenco ad Agliardi: il cantautorato è vivo

Parlare di cantautorato, in Italia, significa raccontare uno dei pilastri più importanti, e certamente più validi, su cui pone le basi lo straordinario successo della nostra musica nel mondo. La musica d’autore e la nostra invidiabile storia artistica, infatti, formano un binomio inscindibile e duraturo. Da Modugno a Gino Paoli, da Lauzi a Gaber, fino ai più recenti Cristicchi e Cammariere, o Bersani e Gazzè, ciò che di peculiare e irripetibile c’è nel loro modo di scrivere è l’utilizzo che fanno delle parole. Complice una lingua, la nostra, capace di creare immagini ricche di sfumature, hanno saputo parlare del nostro Paese e più spesso dei loro sentimenti più intimi, hanno denunciato il sistema attraverso la satira e una pungente ironia e hanno raccontato l’amore, con disincanto, a volte; con trasporto, perlopiù. Riuscite ad immaginare un brano di De Andrè in inglese? Significherebbe appiattirlo e snaturarlo. Significherebbe piegarlo ad un linguaggio pratico e spoglio. E di De Andrè, della sua invidiabile capacità di giocare con le parole e di farne immagini ironiche e malinconiche insieme, resterebbe l’intenzione, ma non l’arte.

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Menzionare tutti i cantautori italiani è impossibile e forse riduttivo; certamente limitativo, in quanto citarne i nomi è ben diverso dal raccontarne le caratteristiche. Raccontare un autore è, prima di tutto, vivere il suo tempo, perlomeno immaginarlo; è osservare come abbia scelto di accostarsene, con quali intenzioni, con quali parole, con quale stato d’animo. Chi scrive le proprie canzoni e poi le interpreta, è prima di tutto un uomo che vive, che sceglie di farsi portavoce, suo malgrado e più spesso inconsapevolmente, di un periodo storico determinato. Tutti hanno lasciato una traccia del proprio passaggio. Ed è capitato, come continua a succedere tutt’oggi, che qualcuno non venisse capito, che fosse lasciato in disparte a farsi carico della noncuranza della gente. Ne è un esempio Luigi Tenco, autore intimista e profondo, che nella sua breve carriera ha riscontrato meno interesse di quanto gliene sia stato riservato dopo la morte, avvenuta in circostanze misteriose a Sanremo, nel 1967. Schivo e al tempo stesso fragile, ha lasciato alla sua musica il compito di metterlo a nudo, di raccontare i suoi tormenti e le sue insicurezze. Brani indimenticabili come “Mi sono innamorato di te”, “Vedrai vedrai”, “Ho capito che ti amo”, sono la sua più disarmante carta d’identità, un grido coraggioso, al mondo e a chi lo abita, di non lasciarsi intimorire dal suo volto serio e dimesso. Con la sua prematura scomparsa, se n’è andato un artista capace di raccontare, già decenni fa, le intramontabili vicissitudini di un animo inquieto e rivoluzionario che ha scelto di fare, delle parole, la propria arma di difesa e di speranza.

E gli occhi intorno cercano quell’avvenire che avevano sognato
ma i sogni sono ancora sogni, e l’avvenire è ormai quasi passato.
Un giorno dopo l’altro, la vita se ne va, domani sarà un giorno uguale a ieri.
La nave ha già lasciato il porto e dalla riva sembra un punto lontano.
Qualcuno anche stasera torna deluso a casa piano piano.
Un giorno dopo l’altro, la vita se ne va e la speranza ormai è  un’abitudine

(Un giorno dopo l’altro, Luigi Tenco)

Il passato, oggi, rappresenta tuttavia un’arma a doppio taglio: la nostalgia verso ciò che è stato diventa, di frequente, terra arida per i nuovi autori, costretti a subire il gravoso confronto con chi li ha preceduti. E, di riflesso, il giudizio insindacabile di chi si mostra indisposto verso il nuovo cantautorato, forse diverso, ma certamente vivo. Questo atteggiamento di chiusura e di mestizia, è dovuto ad un’analisi superficiale e approssimativa, secondo cui “non è più come prima”. Una tradizione che si ripete sempre uguale non è un bene. Un altro Battisti non ci sarà; e, piuttosto che cercarlo, è doveroso riconoscerne il valore e il talento. Non per farne un’imitazione, ma per notare quanto il suo apporto alla musica sia stato originale e travolgente. Non sono mancati critiche e detrattori, c’era chi lo accusava di fare “canzonette”, di essere diverso. Ma la diversità, nell’arte e nella quotidianità, è un valore. E lui, quasi cinquant’anni fa, ne è stato un precursore. Quando la tradizione diventa un muro invalicabile per il presente, a farne le spese sarà il futuro. E la musica resta, non ha scadenze e confini; ma non si ripete. E questo, più che un limite, deve essere considerato un fatto di impagabile importanza.

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Oggi, è cambiato notevolmente il modo di fruire della musica. Ai grandi varietà e alle radio libere, si sono sostituiti i talent show e internet. Il pubblico, che si trova di fronte ad una varietà di possibilità senza precedenti, sembra stancarsi e annoiarsi facilmente, così le mode si susseguono senza sosta. Il pop si mescola a tutti i generi, dal melodico al rap, e gli artisti fanno un bagno di gloria che dura il tempo di asciugarsi al sole dell’oblio. E al cantautorato che destino tocca? Quello di non essere alla moda; e, forse, di non esserlo mai stato. Le parole sono per tutti, o per chi le vuol capire.  E, nelle storie, si può scegliere di immedesimarsi o di sfiorarle senza esserne parte. Si pensa erroneamente, oggigiorno, che tutta l’arte passi attraverso gli innumerevoli mezzi di diffusione di massa. Più spesso, però, nelle scelte commerciali e televisive, il cantautorato, che richiede attenzione, non trova spazio o interesse a sufficienza.
Ed ecco che, quindi, la musica d’autore si fa ricerca. E con la giusta dedizione e scrupolosità, si trovano autori di grande valore e talento, sconosciuti ai più, nella maggior parte dei casi. Da artisti indie, come Dente (Giuseppe Peveri), Ermal Meta, Vasco Brondi, a cantautori di spiccata sensibilità come Niccolò Fabi e Niccolò Agliardi, rimpiangere il passato diventa un limite per il presente, che con grande dignità sa offrire brani di notevole qualità e profondità.
Il cantautorato è vivo e sta bene. E, quando è fatto con sincerità, non si piega al tempo che passa, ma ne prende atto e lo racconta. E diventa senza tempo.

Che abbiamo molti pensieri in gola e un solo cuore che sta in difesa (…)
Che c’è un amore che sogna in grande, però si adatta.
Perché d’amore, malgrado tutto, sempre si tratta.
Ma per salvare quest’indecenza, io sono pronto a qualsiasi cosa.
Così pensavo, pensando a te, casa a casa.
Se io sono degno di quello che speri, se un giorno magari hai bisogno di me,
se posso sperare che scrivere serva a qualcosa e se c’è un premio che vale
alla fine di quest’attesa. (…)
Così pensavo che spesso ti amo, da casa a casa

                                                                                                                              (Niccolò Agliardi, Da casa a casa)

Si vivesse solo di inizi, di eccitazione da prima volta,
quando tutto ti sorprende e nulla ti appartiene ancora.
Penseresti all’odore di un libro nuovo, a quello di vernice fresca
a un regalo da scartare, al giorno prima della festa,
al ventuno marzo, al primo abbraccio, a una matita intera, alla primavera,
alla paura del debutto, al tremore dell’esordio, ma tra la partenze e il traguardo
in mezzo c’è tutto il resto, e tutto il resto è giorno dopo giorno
e giorno dopo giorno è silenziosamente costruire
e costruire è sapere, è potere rinunciare alla perfezione

                                                                                                                               (Niccolò Fabi, Costruire)

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