Braccialetti rossi, la musica della speranza

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Premessa necessaria, in questi tempi derelitti di proposte convincenti e saturi di dubbi giustificati: “Braccialetti rossi” racconta il dolore, ma nulla ha a che fare con la televisione del dolore. La sofferenza è un mezzo, un treno colorato e sorridente che viaggia su binari ondulatori, che somigliano ad un pentagramma che si disegna nel cielo, nell’acqua del mare, nei volti sinceri e ostinati di sei giovani ragazzi. Sei malati che si incontrano e si raccontano come solo gli adolescenti possono e devono fare. Si prendono gioco della loro malattia; qualche volta piangono, ma senza coprirsi la faccia; non si vergognano di essere stati scelti da un destino massacrante e ruvido come il cemento. Lo attraversano, piuttosto. Lo svuotano dell’idea che sia l’unica via per morire, “si muore anche di noia”, dice Leo (interpretato da Carmine Buschini). E persino di paura, incertezza o solitudine. Ma queste sei vite, sebbene diverse e affascinanti ognuna a modo suo, non hanno intenzione di dirsi alla fine di questo gioco, straordinario e imprevedibile, che è la vita.

“Braccialetti rossi” ha l’incredibile capacità di trasformare il dolore in una carezza in pieno viso, delicata e a tratti straziante. È un pezzo di strada sterrata che non si fa mai abisso ma, al contrario, una slitta nel vento; viaggia a pochi centimetri dal suolo, ma non abbastanza in alto da dimenticarsi da dove viene e perché fa parte di questa storia. È un film concreto, le parole non vengono abbellite o taciute, si dicono tutte e a gran voce: tumore, anoressia, coma. E sono questi sei giovani a parlarne, a non soffocarle in gola, a mostrare la rabbia e poi la forza, a sopravviverci. A viverci, senza trascinarsi, senza piegarsi, senza spezzarsi.

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Leo (Carmine Buschini) è il leader, vive da più di un anno in ospedale e mostra, fiero e spavaldo, il suo carattere coraggioso e imperturbabile. La sua è un’anima delicata e sensibile, e lo dimostra quando conosce gli altri braccialetti di questa storia. Vale (Brando Pacitto) è il vice-leader, come Leo è costretto a subire l’amputazione di una gamba. Si dimostra da subito un ragazzo emotivo e attento, dolce e caparbio insieme. Cris (Aurora Ruffino) è l’unica ragazza del gruppo, soffre di disturbi alimentari. Bella e fragile, nasconde i sogni di un’adolescenza interrotta, ma sa sorridere. Ed è persino credibile. Davide (Mirko Trovato), il bello del gruppo, in ospedale per un’anomalia al funzionamento cardiaco, è scontroso e ribelle. Duro, aggressivo e negligente, si mostra insofferente verso gli altri. In realtà, oltre al male più evidente, quello per cui è stato ricoverato, soffre di un’assenza invadente, quella di un padre che non sa come parlargli. Toni (Pio Piscitelli), il furbo, è un ragazzino vivace e affettuoso, in ospedale a causa di un incidente col motorino. Da subito si dimostra una figura divertente e speciale, fondamentale per tenere alto l’umore dei suoi nuovi amici. E infine c’è Rocco (Lorenzo Guidi), una figura assente ma imprescindibile (come il ruolo che ricopre nel gruppo): in coma da otto mesi, racconta la storia dal suo punto di vista, dal suo letto che lo vede impassibile. In realtà è l’anima dei braccialetti, una piccola anima gioiosa e attenta che veglia su tutti.
Insieme, questi sei personaggi sono le mille sfumature dell’adolescenza, il perdono e l’attenzione, la frustrazione e l’inadeguatezza, la fame di vita e l’incessante speranza di (ri)scoprire lo splendore più autentico.

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E la musica, in questa storia, è la compagna di stanza di tutti i protagonisti, gli si siede accanto e dorme a pochi centimetri dal loro letto; come se fosse una persona, una mamma coraggiosa, un’amica testarda e indispensabile. E questo è stato possibile grazie all’anima sensibile e profonda di Niccolò Agliardi, oltre che alla sua penna efficace ed inimitabile. Niccolò, con il suo gruppo “The Hills”, ha vissuto per molti mesi accanto ai giovani di “Braccialetti rossi”, li ha visti crescere e confrontarsi con una realtà terrificante, cruda e straordinaria insieme. Li ha visti commuoversi e si è commosso, senza reticenze. “Perché si inzuppa di lacrime, lo spirito, quando per molto tempo pensava di non potersi concedere l’esplosione. Invece io me la sono concessa questa libertà. E ho camminato con dei fazzoletti di carta nelle tasche, al posto del telefono”, ha detto, raccontando la sua esperienza in Puglia. Così, questa vicinanza, questo pezzo di vita che si è fatta condivisione e amicizia, è diventato un disco. L’album, composto da quindici canzoni (dieci brani inediti, scritti e composti da Niccolò Agliardi e interpretati da lui e altri cantanti italiani, e cinque brani già noti al grande pubblico di Emma Marrone, Laura Pausini, Vasco Rossi, Emis Killa e Tiziano Ferro), si apre con una frase emblematica e vera a tal punto da togliere il fiato: “Vedi, la vita è una piuma. Si balla e si trema, amore mio”. Un verso, questo, che riassume perfettamente lo spirito della fiction: non c’è la crudeltà di un dolore bieco e fine a se stesso, ma alla sofferenza si parla, fino ad addomesticarla; si sorride con intelligenza, ci si commuove di un pianto liberatorio e rigenerante, si riflette senza appesantirsi nel tentativo imposto di imparare. È una fiction per la famiglia, per i bambini, ma anche per i nonni. Il cd (in vendita su iTunes e nei migliori negozi di dischi) è da ascoltare in macchina, la domenica mattina, mentre si fa una gita fuori porta; è da cantare a squarciagola, come a dirsi protagonisti fieri di un destino che poco ha a che fare con la fortuna indifferente, piuttosto con la propria ostinazione nel ripetere “io non ho finito”; è da sentire nelle cuffie, poco prima di addormentarsi. È un progetto ricco di sfumature, di parole semplici e concrete, di giovani che reclamano vita, di storie che hanno da farsi ascoltare e di un traguardo da raggiungere e condividere, per poi ricominciare.

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Sembra persino riduttivo ammettere che si tratti solo di un telefilm, di un viaggio variopinto che si concluderà nell’arco di sei puntate. Somiglia piuttosto ad un mondo che si spegne e brilla ad intermittenza; come la vita, del resto, che strappa il cuore e lo ricuce, questa storia è vera e prepotente, invasiva e soffice. “Con la gioia di sapere che, dovunque ce ne andremo, non ci lasceremo mai, io non ho finito”, così canta Niccolò, così è questa storia. Un pentagramma di esistenze che si intrecciano in una musica di speranza, condivisione, amicizia. E di vita, quella vera.

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