Perché essere una cantante come tante, se si può essere Arisa?

1

Rosalba Pippa è innanzitutto una giovane donna lucana, scanzonata e riflessiva; una che si guarda intorno e, se non è a suo agio, si avverte; è il filo soffice di una matassa aggrovigliata, che si srotola a suo modo e lascia fronzoli di ironia e schiettezza, ovunque passi. È una ragazza del Sud che apparteneva, per metà, al suo paese d’origine e, per l’altra metà, a tutto il mondo immaginato oltre i confini di un sogno da mettere in piedi. È i suoi occhiali buffi, la sua famiglia concreta, la fantasia di un’idea e il cemento pesante della disillusione.
Arisa, invece, è un’artista che sfugge alle definizioni. È un’interprete profonda, un’autrice scrupolosa (“scrivo le mie canzoni, ma poi non mi piacciono e mi affido ad altri autori”), una scrittrice convincente, un giudice sincero, un’attrice coscienziosa, una doppiatrice divertita e persino una pittrice, tra le mura di casa. È una storia leale che si scrive ad ogni traguardo raggiunto, da cui ripartire. È una storia genuina; non una strada da fare, ma una che sembra scriversi da sé, seguendo l’intramontabile desiderio di non limitarsi, di non chiudersi nei confini di un mestiere che, di restrizioni, non dovrebbe conoscerne affatto.
Rosalba e Arisa sono la stessa persona, sono l’una il prolungamento coerente e concretizzato dell’altra.

Quando, nel 2009, si è presentata al Festival di Sanremo con un look fumettistico, labbra rosse, occhiali ingombranti e fare timido e impacciato, ha conquistato tutti. La sua “Sincerità”, diventata in breve tempo il tormentone di quell’anno, ha raggiunto i vertici delle classifiche radiofoniche e di vendita. La stessa sorte è toccata all’omonimo disco. I più la sostenevano, qualcuno storceva il naso (“una così non andrà da nessuna parte”), qualcuno l’accusava (“è un personaggio costruito a tavolino, non funzionerà a lungo”). Ma, ad un’osservazione più attenta, quella ragazza intimorita e bizzarra sembrava un ripostiglio di idee ben chiare, di parole trattenute a fatica, di una rivoluzione inespressa e, quindi, certamente inappagata: Arisa sembrava già stanca di essere “quella di Sincerità”, non perché non le appartenesse quel pezzo o quell’aspetto invadente, ma perché sentiva l’esigenza di raccontare il suo mondo, originale e colorato. Perché, se l’avesse permesso, sarebbe stata marchiata per sempre come “la cantante di Sincerità”, dove il vero limite non è il brano in questione, ma il fatto di poter (e dover) essere solo una cantante.

2

Perché, dunque, essere un’interprete come tante (senza nulla togliere alle “tante” in questione, sia chiaro), quando poteva scegliere di vestirsi dei suoi panni migliori? Quelli di un’artista che si esprime senza dover giustificare il fatto di essere diversa dalle altre e, soprattutto, da se stessa. Non è incoerenza o indecisione, ma naturale propensione al cambiamento e all’evoluzione. Somigliarsi significa anche assecondare il bisogno di esplorare parti di sé sconosciute e poi tradurle in arte. E quest’arte può essere un disco o un romanzo, o un prato di orchidee dipinto su una tela che resterà in cantina a prendere polvere.
E, così, dopo un Festival di Sanremo, quello del 2010, che l’ha vista esibirsi col brano “Malamorenò”, è tempo per lei di una pausa, per riflettere ed ammettere a se stessa di non piacersi più, di non riconoscersi più nei suoi stessi panni. Inizia un lento ma radicale cambiamento, partendo dall’aspetto esteriore: sostituisce gli occhiali con delle lenti a contatto, gli abiti retrò con vestiti più sobri, il trucco pesante con uno più dimesso. Lavora a fianco di Victoria Cabello, nella trasmissione “Victor Victoria”; recita nel film “Tutta colpa della musica” di Ricky Tognazzi e poi in “La peggior settimana della mia vita” di Alessandro Genovesi; nel 2011, diventa giudice di “X Factor”, accanto a Elio, Morgan e Simona Ventura.
Ormai Rosalba è una donna che ha imparato a piacersi e Arisa è un’artista libera dall’affanno di restare inascoltata.

Il 2012 è il suo anno. Torna al Festival di Sanremo, vince quell’edizione (salvo poi arrivare seconda a causa del rimescolio dei primi tre artisti arrivati sul podio), conquista le classifiche di vendita e il suo “Amami tour” tocca i più importanti teatri d’Italia. “La notte”, brano presentato durante kermesse, ha conquistato le radio e il disco che lo contiene, “Amami”, è stato certificato disco di platino. Arisa è cresciuta, mostra le sue fragilità e trasforma il dolore di una perdita in una malinconica e trasparente riflessione su come il tempo agisca su ognuno di noi. In “Amami”, brano da cui trae il titolo il cd, scrive e canta “Amami come se fossi un’edera attorcigliata all’anima, come se fossi musica…”, e con spiccata maturità affronta il tema della rinascita, graduale e sperata, dopo il buio di un’assenza, di un vuoto che altro non è che la volontà di riconoscersi in una realtà nuova e incerta.

3

Pubblica due libri: “Il paradiso non è un granché” e “Tu eri tutto per me”. Nel primo, edito da Mondadori, racconta la vicenda di una giovanissima donna, Marisa, che lascia la sua piccola e soffocante realtà per diventare una cantante; conquista il successo col brano “Semplicità” e si trova a dover affrontare un paradiso che barcolla, un tunnel arredato a festa, un pianeta parallelo di orpelli e inconsistenza, da cui fugge per ritrovare se stessa. E così, di ritorno da questo viaggio straordinario e quasi surreale, in una realtà troppo vicina al vero, riprende a cantare perché “è la mia professione, la mia passione, il mio rifugio. Canta, mi dice quello. E io ho cantato”.
“Tu eri tutto per me”, pubblicato lo scorso Novembre, racconta un amore straordinario, che germoglia e appassisce nella sua stessa tana di vuoto e solitudine. Un’attesa di due giorni o di una vita intera, che sembra sempre troppo poco per un sentimento così poco addomesticabile.
Lo stile di Arisa è molto personale, riconoscibile, intenso. È lei, ironica ed emotiva, ma anche malinconica e riflessiva. I suoi romanzi la completano, sono centimetri di quel filo che si ricongiunge al resto della matassa. Ne raccontano la sensibilità e la visione, romantica e passionale, del suo universo, senza spazi di silenzio da riempire di altro, se non di arte.

Questa è Rosalba: la pelle di Arisa. E questa è Arisa: il riscatto di Rosalba. Insieme sono un destino scritto, da farsi, senza scalpitare, lasciando che una canzone, un foglio bianco, una telecamera o una tela facciano il loro dovere; quello di non restare nella trappola mortificante di un’Italia che pone limiti ed stigmatizza chi vuole vivere d’arte, senza appartenere ad una categoria. Rosalba non è una cantante, una scrittrice, un’attrice: Rosalba è Arisa.

Share on FacebookShare on TwitterShare on Tumblr

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.