Noemi e la rivoluzione che parte da Londra

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Qualche settimana fa, Noemi l’aveva anticipato: “al Festival porterò due pezzi che di sanremese non hanno nulla”. E cosi è stato: con un look curato nel dettaglio e in perfetta sintonia con le nuove sonorità proposte, ha cantato “Un uomo è un albero” e l’ormai hit “Bagnati dal sole”. Coraggiosa quanto basta per sovvertire le regole della kermesse, che vede – perlopiù – gli artisti proporre brani melodici o quantomeno in linea col percorso fatto sino a quel momento, la rossa Noemi non ha scelto di attutire il colpo, presentando brani riconoscibili e quindi di più facili consensi, ma il suo nuovo volto, la strada che ha imboccato per sentirsi un’artista appagata e completa; un’artista che osa perché ne sente l’esigenza, un’artista che dimostra di essere cresciuta e di non volersi snaturare per replicare un successo certamente garantito, frutto però di un ragionamento e non del suo istinto. Non della sua voglia di guardarsi intorno e osservare come il mondo, visto da una prospettiva inconsueta, possa offrire realtà nuove ed affascinanti; realtà irreali per la nostra Italia.
Ciò che è stato chiaro, sin da subito, era che Noemi non avrebbe portato sul palco dell’Ariston solo due canzoni, ma un progetto, un’idea di rivoluzione, un tassello fiero da incastrare tra “Rosso Noemi” (il precedente album, pubblicato nel 2011 e rieditato l’anno seguente) e ciò che sarà da qui in poi, ma che non potrà mai prescindere da questo disco, da questa svolta, da questa Noemi. I due brani non hanno avuto il compito gravoso di sorprendere il pubblico, di sconvolgerlo a tal punto da farne motivo di chiacchiericcio in qualche talk show pomeridiano o di essere un fuoco di paglia, nato ad arte per enfatizzare il ritorno dell’artista e sfiorire al termine delle cinque giornate festivaliere. Non sono stati, come spesso succede, due marionette mosse da scelte commerciali o d’immagine. “Un uomo è un albero” e “Bagnati dal sole” sono due pezzi di un puzzle più grande, coeso e ben determinato; sono una parte fondamentale di un lavoro che, per tematiche, sound e arrangiamenti, non può prescindere da nessun elemento che lo costituisce. Questo è “Made in London”, un disco coerente, moderno, internazionale; un disco credibile, di autentica ed esplosiva bellezza.

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“Made in London” è un cd con un sound british, che strizza l’occhio all’elettronica e al soul. Ma, già dal primo ascolto, non colpiscono solo le sonorità, frutto di costanti ricerche e contaminazioni con il panorama musicale londinese, ma anche i testi, che sembrano legati tra loro da un filo sottile, ma ben evidente. La prima traccia del disco, “Acciaio”, fa da portabandiera all’intero progetto: ritmiche incalzanti, aperture melodiche, arrangiamento elettronico e un testo che riassume tutti i contenuti del disco: la consapevolezza del tempo trascorso e degli errori commessi (“mi ricordo, lo sai, quella vecchia città dove il tempo non passa mai. E i riflessi, che vedi dentro gli angoli bui, sanno farti compagnia”), la maturità e la presa di coscienza di poter resistere alla realtà che ci circonda (“siamo fiori d’acciaio, il freddo della notte non ci spezzerà; siamo fiori d’acciaio, siamo grandi ormai”), il desiderio di non ripetere uno sbaglio e la certezza di riuscirci (“e non dovrai mai guardare indietro mai […] resisteremo al freddo dei ghiacciai come i fiori di marzo, vedrai”).
Ma a farla da padrona, ancora una volta, è la voce di Noemi, intensa e struggente, e il suo timbro, caldo e riconoscibile: sembra il volo di un acrobata che tocca il cielo e, con la stessa disinvoltura, si lancia verso il basso e poi di nuovo risale; così la cantante romana, complice la sua spiccata personalità e la sua innata dote d’interprete, indossa ogni brano con grande credibilità. A facilitarne la buona riuscita, inoltre, si aggiunge il fatto che “Made in London” è un disco scritto quasi interamente dalla stessa Noemi, che si è occupata anche degli arrangiamenti.

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Dall’energica “Dont’t get me wrong” alla raffinata “Alba” il passo è breve: questo progetto è un viaggio scanzonato e ribelle nella grande valigia colorata di quest’artista, che non ha scelto di fare una rivoluzione a scapito del passato, rinnegandolo o prendendone le distante. Ha scelto, piuttosto, di onorarlo, scegliendo di non ripeterlo meccanicamente. Ha scelto di non precludersi la possibilità di conoscere. Se oggi “Made in London” è una realtà, è perché esistono ancora artisti capaci di rischiare; capaci di amare la musica non perché sia un lavoro, ma nonostante sia un lavoro.
Di Noemi sentiremo parlare ancora a lungo, perché è una professionista valida. Sentiremo parlare di lei perché ha un profondo rispetto per la musica. E, quindi, che Dio salvi la regina.

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