Io e mia madre

Oggi è il compleanno della mia mamma, il primo che festeggeremo a distanza.
Il primo, credo, che mi fa riflettere su quanto sia stato essenziale vivere quello che abbiamo vissuto per diventare così come siamo oggi. Instancabilmente veri, impacciati, ma risolti. Siamo cresciuti senza dircele, certe cose. Ma lasciandocele intuire. Non è sempre un bene, ma -spesso- non si è capaci di fare altrimenti, perché si è troppo piccoli, o perché si è troppo adulti: si finisce per essere ancora acerbi e, a volte, per essere già inariditi. E noi abbiamo trovato la via di mezzo tra i miei anni e i suoi, tra le sue ferite e le mie, tra le sue paure e le mie. Abbiamo scelto, consapevolmente o sfrontatamente, di crescere insieme. E di essere tutto quelle che serve a due persone per crescere senza prevaricarsi: figlio e madre, fratello e sorella, amico ed amica, insegnante e allievo, un uomo e una donna. Abbiamo gridato, abbiamo pianto, abbiamo riso senza saperci contenere, abbiamo detto quello che sapevamo dire; e -col tempo- anche quello che non pensavamo di potere. E, oggi, siamo l’unico bene che possiamo vantare; io per lei e lei per me. Il bene più prezioso e onesto che una vita possa concedere. Noi non siamo un caso, noi siamo la nostra più sofferta e straordinaria scelta. Noi siamo noi fino a dentro gli organi.

Non c’è qualcosa che non ci somigli, che non porti le nostre medaglie e i nostri rammarichi. Pochi, a dire il vero. Perché ci siamo concessi di guarire i nostri pentimenti più evidenti. Quelli più mortificanti. Perché, senza accorgersene, si finisce per farsene una ragione, si finisce per non accorgersene più. Ed è il pericolo più feroce di qualsiasi rapporto. La disattenzione, dico. È un male intestino che vive all’ombra di chi non se ne cura, è l’ombra stessa, un terremoto sulla testa di gente con le mani legate da un gomitolo di filo leggero. Che basterebbe premere un po’, per strapparlo via. Basterebbe sciogliere i pensieri, dirli; anche alla rinfusa va bene. Purché non restino dentro, purché si facciano facce stropicciate e lacrime. Ma mai silenzio. E noi abbiamo detto. Abbiamo detto tutto. Un po’ alla volta, per attutire il colpo. Ma dentro ci è rimasto soltanto il peso leggero di quello che abbiamo vissuto, fa bene non disfarsene mai. Fa bene piangerci sopra, ogni tanto. Fa meno bene lasciarlo vivere al posto nostro. Ma noi, credo, siamo ormai fuori pericolo, la zona d’ombra è alle nostre spalle. Non siamo reduci di guerra, siamo vincitori consapevoli. E la consapevolezza richiede coraggio, quindi non può che scaturirne una felicità timida e imbarazzata, ma reale, concreta, matura. Viva.

Tutte le parole che posso, oggi, sono per lei. Per il bene che provo. Per il bene che sento.
E gliele concedo, le mie parole. Le ha meritate tutte, le abbiamo meritate insieme.
Sono il mio regalo di compleanno.

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