L’eleganza naif di Malika Ayane

Ritratto di Malika Ayane

Se qualcuno mi avesse raccontato il nuovo album di Malika Ayane, Naif, senza farmelo ascoltare, avrei pensato ad un ingenuo tentativo di risultare credibile, proponendo grovigli di contraddizioni e buone intenzioni mal amalgamate. E mi sarei spiegato il suo titolo, che avrei percepito come una giustificazione ad un progetto che –con fare decisamente naif- decide di essere tutto. E, insieme, il suo contrario. Che non vuol dire “niente”; non in questo caso, almeno. Ma significa tutte le declinazioni di un aggettivo, fino a quelle che più (pericolosamente) si avvicinano al suo contrario. Senza esserlo mai. Insomma, come può, un album, essere leggero senza fermarsi alla superficie di un contenuto e, nello stesso tempo, malinconico e motivo di riflessone, senza diventare –necessariamente- ridondante? Come può, un’artista come Malika, da sempre annoverata –a buon diritto- tra le artiste più eleganti e raffinate nell’attuale panorama della musica italiana, raccontare –in maniera credibile- la spensieratezza di un viaggio tra melodie elettroniche e dal sapore fortemente contemporaneo? Ero scettico, sebbene fiducioso nel talento di questa giovane artista. Ma poi ho ascoltato Naif. E ho capito che Malika ha saputo essere tutto, raccontando -con scrupolosa abilità e concreta credibilità- le declinazioni di quel tutto.

Naif parla del presente e ne racconta ogni sfumatura. È un invito ad accorgersene per tempo, ad accoglierlo e a farne un’occasione. L’album si apre con Lentissimo, che ne sintetizza subito le intenzioni. “L’attimo che conta è quello che permette di sognare ora”, canta nell’inciso. Inizia così, con una melodia soffice e uno sguardo sulla vita che vive adesso, che s’impone di saper resistere agli urti, alla disattenzione, alla paura. “I limiti, lo vedi, ci sono solo se vogliamo averne”, e sembra chiaro che il titolo scelto per questo nuovo progetto non sia un caso: il primo brano è già il manifesto di una nuova Malika, diventata adulta, ma non cinica. Una donna che chiede “l’immenso” anche “se poco a poco si consuma”; sa ancora sognarlo e racconta che è possibile. È possibile adesso e qui. Anche quando il presente si fa nostalgico e diventa la fotografia sbiadita di un passato che non esiste più, ma che conta perché è esistito. È questo che racconta in Adesso e qui (Nostalgico presente), presentato al sessantacinquesimo Festival di Sanremo, che ha raggiunto il podio, aggiudicandosi il terzo posto, e ha permesso a Malika di ricevere, per la seconda volta nella sua carriera, il premio della critica “Mia Martini”. È l’unica ballad presente nel disco, una canzone struggente, che si snoda in un crescendo di immagini avvilenti e malinconiche, per una storia che –ormai- sa concedersi solo “silenzi per cena”. Si tratta di un’altra sfaccettatura del presente, un fermo immagine di un addio che non è possibile rimandare. E se in Senza fare sul serio Malika invita a non perdere l’attimo “che se fai distratto perdi il tuo momento” e il ritmo si fa incalzante, in “Dimentica domani” racconta a chiare lettere che il senso è tutto qui, in quello che t’accorgi di avere, poco prima che il presente diventi rimpianto, “dimentica domani, respira senza fretta, che quel che serve è già intorno e ti pretende adesso”. Un disco che non contempla il rimpianto, ma se ne serve per accogliere il futuro. Un disco di parole importanti, consapevoli e –qualche volta- persino autoironiche. Parole che raccontano compiutamente una donna appena trentenne e quello che ha capito di sé; salvo poi mettere un punto interrogativo su tutte le certezze e continuare a cercarle anche negli sbagli, quelli che affronta senza più nascondere (o nascondersi). Poi parla di Ansia da felicità, “come un giorno che passa ogni ora”. E mi ritrovo, sorrido e mi convinco che Malika abbia fatto un album di non ordinaria bellezza.

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Tutti i brani di Naif portano la firma di Malika e quella di Pacifico, in assoluto tra gli autori più sensibili e profondi che l’Italia possa vantare; un poeta di parole concrete. Un binomio, il loro, nato ormai anni fa e da sempre garanzia di qualità e di indiscutibile spessore, che oggi sembra aver raggiunto il migliore dei risultati: la penna cantautorale di Pacifico ha incontrato quella di un’artista che ha deciso di uscire da un cliché, che l’ha sempre vista elegante e composta, e di sdoganare -nel suo repertorio- la leggerezza, l’armonia del ballo e di sonorità nuove, ma nondimeno intense e coinvolgenti. Un album, Naif, nato in giro per l’Europa, che mescola la lingua italiana, articolata e dolce (e spesso -nel pop- mortificata), con melodie internazionali che vantano la firma prestigiosa, tra gli altri, di Edwyn Clark Roberts, Shridhar Solanki, Matteo Buzzanca e dei giovani Giovanni Caccamo (già vincitore, nella sezione Giovani, dell’ultimo Festival di Sanremo) e Giulia Anania.

Naif è incredibilmente pop, senza svilire le parole. È leggero, senza mai essere banale. Ben cantato, senza mai diventare una mera ostentazione di sofismi vocali. È elegante, senza essere per pochi. È moderno, senza scimmiottare la musica straniera. È legato da un filo conduttore, senza per questo risultare statico o ripetitivo. È Malika, senza somigliare a qualcuno che non sia quella che è oggi.
Mi ero sbagliato, è che l’Italia –ogni tanto- legittima qualche dubbio, visto come va la musica da queste parti. Ma questo album conferma che c’è ancora del buono. Che è possibile e bisogna crederci. Naif è la sintesi perfetta di talento, cura e autenticità. E Malika non poteva scegliere titolo migliore.
Libertà è un concetto semplice, se non rinunci al complicato”, ha proprio ragione.

 

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