Io e papà

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Per presunzione, forse; o solo perché, guardare al di qua dei propri confini, è un esercizio comodo e indolore: vesti l’arroganza di essere nel giusto, perché hai ancora l’età di chi difende ostinatamente la propria parte. Sta di fatto che, a me, essere figlio sembrava già complicato e -a tratti- faticoso, per addossarmi anche il peso di indossare gli occhi di un genitore. E, con quegli stessi occhi, guardare una vita, che smette di appartenerti nel momento in cui la concedi al mondo. Nel momento stesso in cui vorresti che ti appartenesse per sempre. E allora mi sono chiesto com’è possibile amare se sei consapevole di aver generato un seme che sboccerà dove vorrà e non dove vorrai tu?, ma non ho trovato una risposta che mi soddisfacesse. Ho solo pensato che amare senza pretese sia un atto di coraggio. E il coraggio appartiene a pochi. Come si può voler bene senza pretendere indietro lo stesso bene?, mi domandavo. E poi, tutte le risposte che cercavo, le ho trovate nel volto trasparente e gentile di mio padre. Nel suo sorriso, che non è appassito nemmeno quando sembrava non ci fossero alternative. Nel suo abbraccio, che è l’unica casa che m’appartiene e a cui so di appartenere. È grazie a lui che ho imparato quanto di più importante adesso io sappia: non c’è amore più autentico di quello che è sinonimo di libertà. E quando libertà smette di essere solo una parola e diventa un fatto, ti carichi della responsabilità di saper resistere ogni volta che non sarai d’accordo, ogni volta che vorrai ribadire “io ci sono già passato, ti dico come fare”, ogni volta che sarà più facile porre un divieto, piuttosto che cicatrizzare una ferita. Ma lui mi ha insegnato anche questo, che un amore che detta condizioni non è sincero, è una mancanza che sentiamo e che –per vigliaccheria o noncuranza- scegliamo di far sentire anche a chi teniamo. Ma lui ha fatto una scelta diversa. Non so se avrei saputo fare lo stesso, non so se saprò fare lo stesso. So, fin da quando ero bambino, che voglio che la parte migliore di me gli somigli. Voglio saper piangere, come fa lui, voglio non dovermi scusare se piangerò. Voglio la sua pazienza e la cura con cui sa essere presente ed esistere in disparte, perché nessun rapporto sopravvive alla disattenzione. Voglio che le mie braccia diventino il riparo di qualcuno che sappia riconoscersi nel mio silenzio, come io ho imparato a fare col suo. E a riempirlo di tutte le paure che un padre può urlare, o scegliere di sfidare, con la fiducia e la devozione verso un figlio che ha da sbatterci la faccia, una o due volte, prima di imparare. Voglio imparare ad amare come sa fare lui.

Per ora, mi basta essere all’altezza di quello che ho ricevuto e che ricevo. Mi basta renderlo fiero di me. Mi ha detto “io sarò felice ogni volta che tu troverai la tua felicità”, e significa che non mi dirà mai quale direzione prendere, ma la percorrerà a pochi metri da me. E starà bene ogni volta che farò la mia strada, non quella che aveva pensato per me, ma quella che mi concederò. Starà bene ogni volta che ci crederò, ogni volta che ci crederà con me. Ogni volta che non mi capirà e io -ostinato e sicuro- gli dirò di aspettare; ché ogni cosa, per spiegarsi, ha un suo tempo. Il mio grazie, oggi e ogni giorno che verrà, è e sarà per lui. E non sarà mai abbastanza. Col tempo, ho capito che il miglior regalo da potergli fare è essere me stesso. Che sembra poco, o quantomeno ovvio, ma la vita –spesso- c’impone di somigliarci, per attutire il colpo della diversità. Ma lui mi ha chiesto di essere quello che sono, di fare quello che sono e di somigliare sempre alle mie parole. E io, da qui a per sempre, mostrerò la mia faccia, fiero e orgoglioso. Perché glielo devo. Perché un padre che ti dà la vita e ti dedica la sua, non può meritare che questo: che tu sappia viverti, senza maschere, vie di fuga o scorciatoie. Perché il percorso migliore è quello che fai a faccia scoperta. Oggi, che sono adulto anch’io, voglio essere un uomo di cui mio padre può andare fiero. È questo il mio regalo, la consapevolezza di non aver sprecato niente di quello che mi ha insegnato. Grazie a mio padre, grazie a tutti i padri che lasciano i propri figli liberi di essere quello che sono.

A modo mio, ti dico che io vivo. Vivo per dimostrarti che so fare qualche cosa anch’io, vivo per te.

 

 

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