Nessuno si salva da solo, un amore che pretende di finire

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Nessuno si salva da solo racconta la storia di Gaetano e Delia, il complesso tragitto di due anime irrisolte e delicate che imparano a incastrarsi come possono. E -senza pretendere di riuscirci- restano incollati come i poli opposti di due magneti. Sono le differenze più evidenti a mischiare i loro corpi, i loro gesti, il loro sangue, fino a mettere al mondo due figli. Delia è una donna concreta ma fragile; porta i segni tangibili di un’autostima disarmata, che diventa un male fisico. Gaetano è un sognatore, viene dalla periferia, si nutre della speranza di riscattarsi. Lei, invece, sa nutrirsi solo della propria infelicità, diventandone bersaglio, la sola vittima di un dolore cronico e massacrante. Insieme, diventano il nido dei loro sogni migliori e –con gli anni- la rabbia e il rammarico per gli avanzi rimasti; avanzi di vita, inespressa e rimpianta, ancor prima di aver tentato di viverla. Questo è Nessuno si salva da solo, una storia di ordinaria sopportazione, di disattenzione, di vigliaccheria. Non è un amore straordinario, è un amore carnale, totale e persino crudele, quando sa indagare le mancanze meno evidenti e le occasioni sprecate. Quando -senza reclamarlo- indovina gli spazi vuoti e li riempie della propria presenza, senza imporsi, senza cercare l’accettazione distratta di qualcuno. Nessun amore vero è mai un amore normale. Perciò non userò questo aggettivo per raccontare la storia di Gaetano e Delia. Il loro, è uno di quei matrimoni che ognuno di noi ha potuto vedere consumarsi, magari in metropolitana, ascoltando la musica e aspettando, impaziente, di tornare a casa. Un matrimonio fatto di gioie esaltanti e miseri silenzi, riempiti da urla che rivendicano soltanto la propria ragione. Diventa un gioco al massacro, la loro vita insieme: aspettano, inquieti, di vedere l’altro sbagliare solo per aver qualcosa da recriminare. E sbaglio dopo sbaglio, la loro casa diventa un ring e loro –inconsapevoli della rabbia che li abita- resistono soltanto per umiliarsi, per rinfacciarsi ogni fallimento, per vedere -l’uno nell’altra e viceversa- il marcio di un’esistenza che poteva essere diversa.  Ma che in realtà gli somiglia molto più di quanto possano capire.

Nessuno si salva da solo è la storia di un disamore tagliente e soffocante, perché i suoi protagonisti smettono di parlarsi e iniziano a gridare. Fino a fare, di quelle urla assordanti, il rumore di fondo della loro routine. Non voglio definirlo un amore normale, come dicevo prima. Perché la normalità appartiene ad ognuno di noi in una maniera profondamente diversa. Ma non è certamente un amore che capiti spesso di leggere nei libri, questo sì. È un amore che si sveglia al mattino, fa colazione, soffre le piccole difficoltà del quotidiano, sorvola quelle grandi finché non diventano accecanti e malsane, torna a casa la sera, poggia i piedi sul tavolo, in salotto, e –giorno dopo giorno- dimentica di ricordare perché ne sia valsa la pena. E la disattenzione, a cui accennavo prima, diventa il motore della fine, il viaggio di ritorno, quello che –perlopiù- si fa con i vestiti disordinati in valigia e gli occhi lucidi e stanchi. Il viaggio di andata è sorrisi ed entusiasmo, trattenuti a stento; quello di ritorno è fatto di stenti e rancore. Ecco come definirei Nessuno si salva da solo: un percorso al contrario, in cui nessuno sembra ricordarsi perché abbia tanto amato. E la risposta è proprio in tutto l’odio che si è accumulato. La risposta che i due protagonisti cercano è a due passi da loro, è l’altra faccia della loro felicità mai sazia. Ci pensa il personaggio interpretato magistralmente da Roberto Vecchioni a raccontare a Gaetano e Delia l’unica verità a cui adesso bisogna sapersi aggrappare: “nessuno si salva da solo”, dice prima di salutarli.

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Il film, diretto da Sergio Castellitto e interpretato abilmente da Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca, è tratto dall’omonimo romanzo di Margaret Mazzantini. E –come sempre- l’accoppiata Castellitto-Mazzantini si rivela vincente: dopo il successo di Non ti muovere e Venuto al mondo, anche stavolta il talento registico di Sergio ha saputo rendere giustizia alle parole di Margaret, sempre crude e disarmanti. Specie in una vicenda come questa, in cui viene rappresentata una coppia che s’incontra per discutere di come organizzare le vacanze dei figli e, durante l’arco di una sola serata (che si snoda per tutto il romanzo e –quindi- anche per tutto il film), ripercorre le fasi più importanti della propria storia. Una sfida tutt’altro che semplice, ma superata a pieni voti. Il film (così come il romanzo), scandito dai flashback e dalla cena -in un ristorante- dei due protagonisti, è il ritratto nient’affatto abbellito di due persone separate. La rabbia la fa da padrona, ma poi lascia spazio persino ad una timida malinconia. Ricordare è un esercizio sfiancante e spietato, ma –come spesso accade- solo alla fine, quando ognuno ha riposto gli archivi della propria fragile resistenza, diventa evidente quanto sia stato necessario. Ricordare non per ferirsi, ma per guarirsi; per non mortificare più il passato, ma per dargli la dignità che merita e che l’ha visto difendersi e farsi presente.

Nessuno si salva da solo è un amore che pretende di finire, ma che non sa finire. E continua a tenere caldo quel posto in cui i due protagonisti erano rimasti –a lungo- soli insieme. Cosa c’è di peggio di due amanti che restano da soli, pur abitando la stessa casa? Pur abitando lo stesso stato d’animo? “Non ha senso andare nella direzione opposta del tuo stato d’animo”, scrive la Mazzantini e recita Jasmine Trinca, dando voce ad una Delia irremovibile e severa. La risposta è quel viaggio di ritorno da fare, tenendo ben presente che si salva da solo soltanto chi non ha avuto la fortuna (o il coraggio) di lasciarsi scoprire tanto profondamente da un’altra persona.

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