Le parole di Guglielmo Favilla, “Le parole più importanti per me? Direi FINO A QUI TUTTO BENE”

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Oggi voglio condividere con voi le parole di Guglielmo Favilla, giovane attore toscano, attualmente al cinema con il film “Fino a qui tutto bene”, diretto da Roan Johnson.

  1. Ciao, Guglielmo, e grazie per aver accettato di rispondere alle mie domande.
    Guglielmo Favilla, toscano, classe 1981, diplomato al Centro Sperimentale di cinematografia: questo è quello che si sa di te. Ci racconti, invece, come e quando hai capito che da grande avresti fatto l’attore? A che età hai iniziato a recitare?

Mi è sempre piaciuto osservare le persone e coglierne gesti, espressioni e atteggiamenti. A scuola, purtroppo, non ascoltavo tanto quello che dicevano gli insegnanti, ma come lo dicevano e mi veniva naturale imitarli. La passione per il cinema mi ha accompagnato fin dalla più tenera età: passavo ore a ripetere scene dei film visti davanti al televisore spento, quasi sperando di esserne risucchiato e far parte di quel mondo. Un altro fattore determinante e di grande ispirazione è stato, da bambino, osservare mio padre che, durante le cene con parenti e amici, raccontava barzellette o rimembrava aneddoti del suo passato cambiando dialetti, arricchendoli e romanzandoli rendendo tutto estremamente interessante e avvincente. Ecco, diciamo che aveva l’attenzione di tutti e riusciva a manipolare gli umori di ogni ascoltatore. Erano i miei primi rudimenti di ciò che significa intrattenere un pubblico. Ne ero assolutamente affascinato. Dopo le prime inevitabili e tutto sommato gradite recite all’asilo, elementari e medie, i primi corsi di teatro e i primi spettacoli un po’ più impegnati all’età di 16 anni, ci fu la decisione, dopo la maturità, di trasferirmi a Roma e frequentare il Centro Sperimentale.

 

  1. C’è un artista a cui ti sei ispirato o a cui ti ispiri tutt’ora?

Un sacco, non uno in particolare… la lista sarebbe infinita. Peter Sellers , Buster Keaton, Jack Lemmon, Gian Maria Volontè, Al Pacino, Gene Hackman. E Tognazzi. Di lui amo come, rispetto agli altri immensi “colonnelli” della commedia all’italiana, sappia essere senza pietà. Nasce come comico puro ma come attore drammatico sa infierire su se stesso e su di noi. Cito il critico Mauro Gervasini: “pian piano ci si accorge che ogni sua interpretazione è un lavoro di fino sui colori dell’anima, senza timore di svelarne i più sgradevoli.”

 

  1. Negli anni, hai lavorato a vari ed importanti progetti non solo cinematografici, ma anche televisivi e teatrali. In quale dei tre settori hai avuto la possibilità di esprimerti meglio e quale, tra le tante esperienze fatte finora, giudichi la più importante?

L’esperienza più importante per la mia carriera è probabilmente “Fino a qui tutto bene” di Roan Johnson, un film per il cinema che mi ha concesso l’opportunità di essere protagonista e che ho amato molto. Per quanto riguarda la mia formazione, la collaborazione con “i Licaoni” nata nel ’99 è stata un’esperienza unica e insostituibile: corti, lunghi e spettacoli teatrali (anche in qualità di co-regista). Anche tutta la gavetta fatta nell’auto-produzione con amici e talenti di assoluto valore (Federico Sfascia, Antonio Zucconi) alternata a lavori in fiction e spettacoli teatrali (come la Commedia di Orlando per la regia di Emanuela Giordano con Isabella Ragonese) sono state scelte importantissime che  mi hanno fatto amare questo mestiere. Amo molto il teatro per la dimensione nuda e cruda e la sfida che rappresenta. Per citare il sommo John Belushi: “Perché mi sento così a mio agio sul palco? Perché è l’unico posto dove so quello che faccio…” Amo il teatro ma il cinema resta la mia più grande passione, una malattia.

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  1. Lo scorso 19 Marzo, è uscito al cinema “Fino a qui tutto bene”, un film diretto da Roan Johnson, che ti vede protagonista insieme ad Alessio Vassallo, Paolo Cioni, Silvia D’Amico, Melissa Anna Bartolini e Isabella Ragonese. La pellicola racconta la storia di cinque studenti fuorisede, che hanno condiviso -per anni- la stessa casa e adesso, ormai adulti, devono assumersi le responsabilità del futuro, con tutte le difficoltà e le paure che ne conseguono. Ci racconti l’esperienza sul set? Com’è stato lavorare ad un film indipendente con gli altri tuoi colleghi?

In questo film ho ritrovato un regista e amico che stimo da tanti anni (da quando io entravo al Centro Sperimentale e Roan ne usciva) e ho ritrovato e scoperto amici e splendidi compagni di viaggio con un gran voglia di fare e un’energia pazzesca. I tempi folli, l’improvvisazione, il cazzeggio, gli sfoghi cutanei (miei), la modalità garibaldina… Ecco, quando Roan dice che siamo stati “liberi di fare un film che ci apparteneva”, NON E’ UN MODO DI DIRE. La cosa più bella e triste allo stesso tempo è che chiunque ha lasciato il set l’ultimo giorno, in cuor suo sapeva che sarà dura riprovare un’esperienza del genere in futuro.

 

  1. Tre buoni motivi per scegliere di andare a vedere “Fino a qui tutto bene”.

Perché è un film sincero e divertente, perché è un “segnale” in mezzo a un sistema produttivo stagnante e perché non è ricattatorio o moraleggiante nei confronti dello spettatore.

 

  1. “Fino a qui tutto bene” è un film “dedicato a cui continua a remare”. La crisi, la disoccupazione giovanile, la necessità di andare all’estero per realizzarsi nel proprio settore lavorativo: i temi trattati sono di scottante attualità, ma la formula utilizzata è quella della commedia (con un retrogusto spesso amaro). Tu come hai vissuto il momento della svolta, quello tanto temuto dai protagonisti di “Fino a qui tutto bene”, che t’impone di diventare grande e di pensare al futuro?

A differenza di Andrea, io ho sempre avuto la convinzione di quello che avrei fatto da “grande” con tutti i rischi del caso. Certo, ho avuto anche una famiglia che mi ha appoggiato e un gruppo di amici che mi ha sostenuto e con cui ho fatto squadra fin dai i primi anni della mia vita artistica. Quindi si può dire che non ha mai avuto dubbi sul mio futuro… ecco, magari come Andrea, a volte c’è stata la tentazione di gettare la spugna, scoramenti dovuti a meccanismi avvilenti che si scoprono in questo ambiente. Ma poi vincono la tenacia, la pura passione e piano piano si raccolgono soddisfazioni.

 

  1. A proposito di crisi, il momento storico che vive attualmente l’arte –in Italia- non è dei migliori. Cos’è, secondo te, che non funziona? Cosa, dunque, andrebbe cambiato o migliorato?

Mi limito a rispondere per quel che riguarda il mio campo, ma temo che la cosa si possa estendere a tutte le categorie lavorative, e mentre lo dico mi sembra di essere un disco rotto: mancano idee, coraggio e voglia di sperimentare. E manca l’umiltà. Ecco, quello che vedo sempre più in questo ambiente è l’ ambizione di arrivare a tutti i costi più per il ruolo e gli agi che ne derivano, che per il puro piacere quasi artigianale e viscerale che questo lavoro dovrebbe essere e dare.

 

  1. Credere in un sogno -oggi- è coraggio o masochismo?

A costo di sembrare serioso, credo sia necessario.

 

  1. All’età di Andrea, il personaggio che interpreti in “Fino a qui tutto bene”, come t’immaginavi dieci anni dopo? E, oggi, che hai collezionato importanti esperienze lavorative, come t’immagini tra dieci anni?

Spero di poter lavorare ai progetti in cui credo, siano essi film, piccole produzioni, corti, spettacoli o fumetti (l’altra mia grande passione) come sceneggiatore. Oppure mi vedo obeso su un atollo polinesiano di mia proprietà che mi ingozzo di gelati…

 

  1. A proposito di futuro, quali sono i tuoi prossimi progetti lavorativi?

Oltre a portare in giro lo spettacolo “Gli Ebrei Sono Matti” di Dario Aggioli per la compagnia Teatro Forsennato, ho in cantiere un nuovo spettacolo, probabilmente in coppia con Paolo Cioni, varie collaborazioni con Astutillo Smeriglia (ovvero Antonio Zucconi, il genio dietro i cartoni animati “Preti”, “il Pianeta Perfetto” e altre gemme (http://incomaemeglio.blogspot.com/), un corto in coppia con Francesco Pannofino per la regia di Domenico Guidetti  e un paio di  progetti fumettistici come sceneggiatore per la Kleiner Flug, dopo la bellissima esperienza con “Donatello” (http://www.kleinerflug.com/) . Inoltre è in fase di post-produzione il nuovo film di Federico Sfascia “Alienween” (http://federicosfascia.com/) nuovi progetti con I Licaoni dopo il successo della web serie “Elba” (http://www.licaoni.it/) e altre cose “losche” tra tv e cinema su cui non mi “sbottono” troppo per scaramanzia…

 

  1. Il mio blog si chiama “Tutte le parole che posso” e mi piace concludere ogni intervista parlando di parole, appunto. Quali sono le parole più importanti della tua vita?

Non so se siano le più importanti, ma sicuramente mi ronzano nella testa fin da quando vidi il film da adolescente. Si tratta del primo scambio dialogico nel film “The Killer” del grande John Woo, fra un sicario e il suo committente ambientato in una chiesa: “Tu credi in dio?” “No, ma amo la pace che c’è qui.” Uno degli incipit cinematografici più belli e suggestivi di sempre. Le altre, per quanto mi riguarda, direi che emblematicamente siano “Fino a qui tutto bene”…

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