Cos’è normale?

Sono nato a Zurigo, in Svizzera. Ho vissuto all’estero fino all’età di nove anni, quindi ho frequentato lì i primi tre anni delle elementari. In classe eravamo ventiquattro: sei italiani, due albanesi, due jugoslavi, un’africana, una cinese, tre spagnoli e i restanti erano svizzeri, tedeschi e austriaci. Io, come del resto tutti gli altri, non ho mai considerato i miei compagni dei diversi, eravamo dei bambini, avevamo colori diversi, occhi diversi, famiglie diverse, ma non ce ne importava niente. Anzi, vi dirò di più, non sapevamo nemmeno che ce ne dovesse importare qualcosa.

Una volta al mese, la scuola organizzava dei “pranzi al buio”: andavamo a mangiare a casa di un compagno, ma non eravamo noi a scegliere da chi, a stabilirlo era la nostra insegnante. Quindi mi sono ritrovato a mangiare a casa di una jugoslava, di una cinese e di un pugliese. Ho detto preghiere che non conoscevo, ho partecipato a riti che non mi appartenevano, ho mangiato piatti mai visti prima, ho sentito odori nuovi, ho farfugliato lingue che non potevo conoscere. E poi, il mese successivo, erano loro a pranzare da me, quindi a conoscere la mia verità. O forse è meglio dire la verità della mia famiglia, quindi il Crocefisso appeso alla parete, i vinili di Battisti, i libri, i quadri, i sapori, le nostre tradizioni, la nostra lingua, il nostro modo di scherzare, di ridere, di parlare, di stare a tavola, di vivere.

Io sono una delle tante verità che esistono. Io sono uno fra tanti. Non è il colore della mia pelle, il taglio dei miei occhi, il mio dio o la mia lingua a qualificarmi. È il modo in cui vivo a fare, di me, un buon essere umano.

Io non ho mai pensato “Questi sono proprio strani”, perché la mia famiglia e la scuola mi hanno insegnato che la diversità è un’occasione di crescita. No, non me l’hanno detto. Me l’hanno (di)mostrato. Ai bambini non serve dire nulla, bisogna soltanto spogliarsi di ogni pregiudizio perché non diventino tutti i limiti di un adulto.

Ecco, io non voglio parlare di politica, ma di coscienza, la coscienza che ognuno di noi deve usare per stare al mondo, per guadagnarsi il posto che occupa per caso. Perché siamo qui per caso, è il modo in cui viviamo a definirci. Io sono felice di essere cresciuto così, sono felice di non essermi mai accorto che i miei compagni di classe erano diversi da me. E, soprattutto, sono felice di aver imparato sin da bambino che io non sono la normalità, la mia non è la sola verità che esista al mondo. Io sono una delle tante normalità che esistono. Io sono una delle tante verità che esistono. Io sono uno fra tanti. Non è il colore della mia pelle, il taglio dei miei occhi, il mio dio o la mia lingua a qualificarmi. È il modo in cui vivo a fare, di me, un buon essere umano.

Bisogna fermare questa catena d’odio, di razzismo e di frustrazione, bisogna farlo in fretta, perché un’altra generazione così non possiamo permettercela.

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