Nadia Toffa ha il dono di smascherare la pochezza del web

Nadia Toffa sta per pubblicare un libro in cui racconta quello che le è capitato negli ultimi mesi. Non mi importa parlare di come Nadia svolga la propria attività di giornalista né delle polemiche intorno al programma in cui lavora. Voglio parlare, piuttosto, di una donna che, meno di un anno fa, in seguito ad un malore improvviso, ha scoperto di essere malata.

Quello che ha fatto, in questi mesi, è stato cercare di rivolgersi al pubblico con un atteggiamento propositivo, mai un’autocommiserazione, mai un momento di cedimento, mai un attimo di esitazione. E, quando non ce l’ha fatta più, si è messa da parte. Nel libro, definisce il cancro “un dono“: un’affermazione forte, certo, che non lascia spazio a sensazioni tiepide. L’ignorante funzionale, l’utente medio del web, per intenderci, non ha perso tempo per darle addosso: “Facile parlare per te che sei ricca, chiedi a noi comuni mortali se è un dono”, “Vergognati per quello che dici”, “Speriamo sia la volta buona che muori e smetti di dire cazzate”. Nel momento in cui la Toffa afferma “Il tumore può rivelarsi un dono“, vuole lanciare un messaggio di speranza, affermando che persino da un’esperienza tanto dolorosa si possa imparare qualcosa. Ma l’utente medio del web non capisce.

Non è finita, perché qualcun altro ha commentato così: “Hai scritto un libro per lucrare sulla tua malattia”. E qui mi arrendo, perché di fronte ad una persona che pensa che un malato di cancro possa sfruttare il proprio dolore per trarne guadagno, io non so davvero che dire. Mi rattrista la pochezza di chi lo pensa, mi spaventa la leggerezza con cui lo sostiene.

No, non è ancora finita. Di fronte al “Tutti i tumori sono uguali”, detto dalla Toffa, che non significa che ogni cancro va curato allo stesso modo, bensì che ogni cancro provoca gli stessi malesseri psicologici, la stessa ansia, lo stesso sconforto, l’utente medio ha risposto “Ah, quindi adesso sei anche un medico?”.

Per finire, di fronte all’affermazione “La guarigione dipende anche da noi”, che non significa che non bisogna curarsi, ma che un atteggiamento positivo e risoluto può rivelarsi fondamentale, il pubblico risponde “Ah, quindi anche tu affermi che la medicina non serve, esattamente come la Brigliadori!” o, peggio ancora, “Quindi mia madre è morta perché non voleva guarire?”.

Una persona diventa meno simpatica quando non soffre, figuriamoci quando non soffre come facciamo noi.

Io trovo tutto ciò sconfortante, demotivante, triste. Sono certo che, se si fosse arresa, se avesse parlato del suo dolore senza dargli un’alternativa, il pubblico avrebbe avuto per lei soltanto parole di conforto. Perché una persona diventa meno simpatica quando non soffre, figuriamoci quando non soffre come facciamo noi. Io sono sicuro che, se il libro della Toffa si fosse intitolato “Il mio calvario” anziché “Rifiorire d’inverno” e se avesse detto “Il tumore è una merda ma grazie a questa malattia ho capito ciò che conta nella vita” anziché “Il cancro è un’opportunità, un dono”, adesso i vari “Sei una guerriera meravigliosa” e “Sei un esempio per tutti” si sprecherebbero.

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