Niente, non ce la facciamo a capire che «Mangia, sei troppo magro» è grave e, spesso, pericoloso tanto quanto «Mangia di meno, sei troppo grasso». I recenti fatti di Elodie e Marco Masini (lui in più occasioni ha deriso la sua forma fisica invitandola a mangiare di più e lei è andata su tutte le furie perché «Vivo la mia magrezza come un complesso, sentirmi dire certe cose mi fa arrabbiare») mi hanno fatto capire quanto il problema sia reale, concreto, ma, soprattutto, quanto non sia ancora percepito come tale.
La gente pensa che criticare una persona in carne sia offensivo, mentre criticarne una magra sia un gesto lecito, per niente umiliante o lesivo, anzi, quasi affettuoso, bonario. Un gesto, insomma, che non può avere alcuna conseguenza negativa.
Parlo con cognizione di causa, perché ci sono passato e so esattamente cosa significhi. Da una parte c’ero io, che pesavo novantacinque chili; dall’altra mia madre, che ne pesava quaranta. Da una parte c’ero io, che mi sentivo dire «Dovresti dimagrire un po’», «Ti piace mangiare, eh!», «Mettiti a dieta», dall’altra lei, che doveva sopportare i vari «Ma quanto sei magra?», «Ma mangi?», «Ma ti senti bene?». Lo stesso identico dolore, lo stesso identico fastidio, la stessa rabbia. La stessa frustrazione, perché io non riuscivo a perdere quei chili di troppo e lei non riusciva a ingrassare. Ma la gente non capiva.
Spesso qualcuno, rivolgendosi a me, azzardava un goffo «Ma sì, è tutta salute», «Sei bello lo stesso», «Hai un sorriso che copre tutto il resto», perché io ero grasso e il grasso è ritenuto all’unanimità un problema, quindi cercavano di sdrammatizzare, di essere delicati, seppur in maniera del tutto discutibile e maldestra. Ero infastidito? Molto. Ne soffrivo? Tanto. So che l’intento non era cattivo, ma non stavo bene. Con mia madre, invece, visto che la magrezza non è considerata un motivo di disagio e sofferenza, dunque non serve usare la stessa (goffa) delicatezza, non erano altrettanto clementi, le dicevano «Però devi mangiare», «Ma è sicuro che mangi?», «Tra poco scompari del tutto».
La verità è che la gente capisce solo il dolore e la felicità che ha provato, non sa mettersi nei panni degli altri. Per questo sto leggendo commenti ignoranti, superficiali e dozzinali come «Allora accusiamo di body shaming pure le nostre nonne che ci dicono di mangiare di più» oppure «Anche io sono magra, ma non mi dà fastidio quando me lo dicono», come se tutti dovessimo avere la stessa sensibilità e, siccome una cosa non ci fa soffrire, automaticamente non dovesse far soffrire gli altri.
Io credo sia necessario (ri)scoprire l’empatia, perché altrimenti finisce che esiste solo il dolore che conosciamo noi e tutto il resto, solo perché non ci appartiene, diventa un capriccio. E questo è molto grave.