L’ansia è una malattia crudele. Sono sempre stato un tipo ansioso, ma il 22 maggio di quattro anni fa ho scoperto quanto cattiva e distruttiva possa essere. Per mesi e mesi ho creduto di essere triste, non c’era una ragione precisa, ma mi sentivo sfinito, senza alcun entusiasmo, infelice senza rimedio. Non sapevo dirmi cosa fosse, a dire il vero non sapevo nemmeno che fosse qualcosa. Era la mia vita, apparentemente uguale a sempre, ma senza allegria.
Sarei andato avanti così, se quel 22 maggio, parlando con un’amica, non mi fossi convinto di essere malato. È bastata una parola fuori posto e ho cominciato a tremare, a sudare, a non essere più lucido. Da quel preciso istante, ho scoperchiato un vaso di Pandora che mi ha rivelato quanti strati di ansia ci fossero sotto la mia superficie. Sono stati mesi infernali, avevo un dolore al centro della testa che non mi dava tregua, i muscoli indolenziti, la gola secca, non riuscivo a respirare. Provavo a fare un respiro completo, a sentire l’aria andare dal naso fino ai polmoni e viceversa, ma si fermava nel petto e ogni volta credevo di morire.
Io non ricordo un dolore più grande di quello. Mi sono sottoposto a controlli di ogni tipo, ho fatto le analisi, ho chiesto aiuto a chiunque. Niente, non avevo niente. Ma nulla riusciva a convincermi che fosse vero, io ero certo di essere malato e questo pensiero mi toglieva l’aria. Venivo colto da attacchi d’ansia ogni istante in cui ero sveglio, per questo non facevo altro che dormire. Per mesi non ho studiato, non ho scritto, non ho riso. Ho pianto come un cane, ho messo in discussione le mie ambizioni, ho pensato di lasciare Roma, al città che ho scelto, tutti i progetti che avevo fatto, ho cominciato a mangiare ininterrottamente e ho preso dieci chili.
Ho visto la fine del tunnel parecchi mesi dopo, a inizio 2017, quando ho capito che la mia malattia era una soltanto: l’ansia. Che altro non è che il volto delle cose che trattieni, che non sai affrontare, che non sai vivere o essere. Le ho fatto la guerra, poi l’ho accolta, l’ho bestemmiata, l’ho perdonata. E alla fine ho capito che esisterà finché io non sarò autentico, finché non smetterò di giudicarmi e di mortificare quello che sono.
Sono passati quattro anni da quel giorno. Grazie all’analisi* ho imparato a non respingere più la paura, a non offendermi più, ad accogliere quello che sono e anche quello che sono stato. Non sempre ci riesco, ma ci provo con benevolenza e dignità. Scrivo con le lacrime agli occhi perché è stato un inferno, un fatto che mi ha segnato profondamente e per sempre, ma oggi so di poter contare su quello che ho imparato. E l’ansia, che c’è ancora e ci sarà ogni giorno, è un motivo per migliorarmi, non un dolore da combattere. Oggi festeggio quattro anni che sono felice di non essere rimasto nel limbo di chi non sa cosa lo rende infelice. Allora non avrei mai detto che quel 22 maggio sarebbe stato necessario, oggi lo so.
Avevo stabilito che questa sarebbe stata la foto da inserire nella biografia del mio prossimo romanzo, che avevo…
Pubblicato da Basilio Petruzza su Venerdì 22 maggio 2020
*Qualcuno di voi si vergogna di dire che è stato da un otorino, da un ginecologo, da un allergologo, nutrizionista o dentista? Non credo proprio. Perché, dunque, ci si dovrebbe vergognare di parlare della psicologia? Perché si è ancora restii a dire «Vado dallo psicologo»? Perché questo tema rappresenta ancora un tabù? Ve lo dico io: perché siamo ancora fortemente arretrati e ignoranti in materia; perché la cura della mente, che dovrebbe interessare tutti, indistintamente, è percepita ancora come un’attività per persone che soffrono di disturbi psichici gravi. Sei in cura da uno psicoterapeuta? Allora, automaticamente, sei considerato (o ti consideri) pazzo, diverso, anormale.
Chi fa un percorso di psicoterapia è, evidentemente, una persona che sta affrontando un problema, allo stesso modo di chiunque vada da un qualsiasi altro medico: si inizia dalla consapevolezza di avere un malessere da risolvere, ci si affida a un professionista e poi, ognuno con i propri tempi, si guarisce. Chi cura la mente non fa altro che tenere in allentamento il motore del corpo, perché di questo si tratta. Non bisogna vergognarsi di dirlo, di chiedere aiuto e di farsi guidare da chi ne sa di più. Da soli possiamo curare un mal di testa, non un cancro, non un braccio fratturato, non la depressione. Ci tenevo a dirlo dopo i tanti messaggi che ho ricevuto in seguito al mio post sull’ansia. I più mi hanno scritto «Sei stato coraggioso a parlarne». Non ci vuole coraggio, serve soltanto che la nostra società capisca che l’ansia, la depressione e tutti i disturbi psichici non sono un capriccio, non sono «un brutto periodo», non sono un fatto di cui vergognarsi.