Tre amici, due decenni di musica e un viaggio. Pochi bagagli, nessuna pretesa, qualche chitarra e una buona idea. E l’Africa, inconsapevole e inconsapevolmente, diventa “un posto giusto da raggiungere” e da cui partire. L’Africa diventa “Life is sweet”, la prima storia de “Il padrone della festa”, il primo souvenir da mettere in valigia, il primo approdo di un viaggio molto più lungo, importante ed entusiasmante di quanto Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè potessero immaginare. È nel sud del mondo che ha inizio questa storia, che -in un solo anno- ha attraversato l’Italia intera e poi l’Europa. È lì che è diventata anche nostra.
Tre personalità distinte, tre penne riconoscibili, tre facce pulite. Non capita spesso che degli artisti decidano di incontrarsi in un terreno comune e diventare un azzardo. Come sia stato possibile, è facile intuirlo. A me è bastato guardarli suonare insieme. Ho visto, nei loro volti, l’entusiasmo di tre ventenni alle prime armi, che non sono stati compromessi dalle difficoltà e dalle facili scorciatoie di una passione che (purtroppo o per fortuna) diventa un mestiere, con tutti i privilegi (pochi, di questi tempi) e gli svantaggi (molti, ora che la musica è un click) che questo lavoro comporta; nei loro occhi ho letto la sorpresa, come quella di tre bimbi che scartano un regalo e –fieri- lo mostrano a tutti; e poi l’umiltà, quella che –se non t’appartiene- non puoi improvvisarla; la gratitudine, non verso un pubblico, ma verso la gente, perché è prevalso un clima di festa, una grande festa in cui ognuno di noi, che applaudivamo e cantavamo a squarciagola, eravamo indispensabili; e la consapevolezza di tre uomini risolti e appagati, consci non del proprio successo, ma di aver fatto bene a crederci. Ecco com’è stato possibile: “Il padrone della festa” è un’amicizia fraterna, un bene sincero e tangibile, la stima e la fiducia di tre amici, prima ancora che tre artisti. È un abbraccio che ha stretto intorno a sé migliaia di persone. Non un accordo, non un progetto e nemmeno un contratto. Un incontro, piuttosto. E quando la musica è sincera, il pubblico se ne accorge. Si sente parte di una grande famiglia e ricambia il bene che sente di aver ricevuto. Questo è quello che è successo all’Arena di Verona, lo scorso 22 maggio.
Fabi, Silvestri e Gazzè sono saliti sul palco con i loro strumenti e –poco prima di iniziare a cantare- ci hanno rivolto un grazie. “Grazie per la fiducia che ci avete concesso”, hanno detto, come se tutti noi non conoscessimo già il loro talento e la loro storia. Ma è così che hanno scelto di iniziare, sperando di essere all’altezza delle nostre aspettative. Hanno ringraziato poi i loro musicisti, hanno impugnato la loro chitarra e hanno iniziato. Uno spettacolo asciutto, senza orpelli, di poche ed essenziali parole. Tre ore di musica, un viaggio al contrario per ripercorrere gli esordi, quando –appena ventenni- cantavano in un piccolo locale, nel centro di Roma, per poco più di dieci spettatori. E, sebbene fossimo più di diecimila, l’atmosfera era la stessa, divertita ed intima. Da “Alzo le mani” fino a “Il padrone della festa”, passando per “Costruire”, “Occhi da orientale” o “Una musica può fare”, ognuno di noi ha ritrovato un pezzo di sé. Ma non è prevalso un clima di nostalgia, probabilmente perché –di quei tre ragazzi che negli anni ’90 si facevano strada- c’era ancora tutto, la stessa espressione, lo stesso sorriso timido e impacciato, la stessa felicità, probabilmente solo più consapevole, ma non prevista.
Lo scorso novembre –al Palalottomatica di Roma- ho visto per la prima volta uno spettacolo live di Fabi, Silvestri e Gazzè. Era il primo dei due sold out romani. Dopo qualche minuto dall’inizio del concerto, Niccolò Fabi ha alzato lo sguardo e ha salutato, con un gesto della mano, le tribune più alte. Ha subito preso la parola: “Scusate se non vi ho salutato subito, non ero abituato a guardare così in alto”. Ho sorriso a questa frase e ho pensato quanto sia bello sapersi sorprendere e resistere alla forza ingombrante dell’abitudine. Nelle sue parole, ho avvertito una commozione sincera e –lo ammetto- mi sono stupito che ancora sia possibile. Ma questi tre ragazzi hanno saputo dimostrare che molte cose sono ancora possibili. Ad esempio, che la musica può essere condivisione; che esiste un’alternativa ai talent che sfornano meteore, ai discografici che sfornano prodotti e alla televisione che fa da cornice al destino incerto della nostra musica. Fabi, Silvestri e Gazzè sono la più concreta ed esaustiva risposta alla monotonia che vive l’arte, oggi, in Italia. Ma l’entusiasmo, l’affetto e la passione, i tre padroni di questa grande festa a cui abbiamo preso parte, ci spiegano che -per fare qualcosa di grande- bisogna saper iniziare dal gradino più basso. Loro hanno cominciato da una chitarra, un quaderno di appunti confusi e un viaggio. Il resto è arrivato da sé, così anche il cielo ha fatto la sua parte. E la pioggia, a Verona -come un sipario- ha aperto e chiuso la serata. E noi tutti eravamo consapevoli di aver partecipato a qualcosa di irripetibile.
And I was just wodnnrieg about that too!